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Lo straordinario mondo di Gumball

Titolo originaleThe Amazing World of Gumball
Paese Regno Unito,  Stati Uniti
AutoreBen Bocquelet
ProduttoreJoanna Beresford
MusicheBen LocketNeil Myers
StudioCartoon Network Development Studio Europe
1ª TV3 maggio 2011 – 24 giugno 2019
Episodi240 (completa)
Durata episodi11 min
Editore it.Warner Home Video (DVD st.1), Koch Media (DVD st.6)
Rete italianaCartoon NetworkBoing (Netflix)
1ª TV it.1 ottobre 2011 – 13 settembre 2019
Episodi 240 (completa)
Durata episodi11 minuti
The Amazing World of Gumball the Storm: Amazon.it: Sjursen-Lien, Kiernan,  Atlansky, Lesley, Fiorentino, Mike, Amin, Shadia, Bocquelet, Ben: Libri in  altre lingue

(dai 9 anni)

Palla di gomma, letteralmente. Il protagonista, gatto, sovverte ogni legge della fisica paratelevisiva, giocando animatamente sui luoghi comuni delle serie a cartoni.

L’animazione lineare dei caratteri principali, legati in un bizzarro nucleo familiare, incontra l’impossibile prospettiva dei luoghi fotografati, così come personaggi minori o secondari si stagliano su quegli stessi sfondi avanzando minacciosamente, giustapposizioni di tecniche grafico-pittoriche differenti. Gumball potrebbe apparire ad occhi adulti, mediamente distratti, come un gran pastrocchio. L’estetica diretta e buffonesca dei protagonisti, con i loro cromatismi tipici e accesi, costituisce di certo un motivo di attrattiva per spettatori piccolissimi, ma ogni segmento di quest’inusuale prodotto d’animazione sembra inoltrarsi sempre di più in una sorta di diorama stratificato, percorribile a più livelli e in modo assai più sconnesso e assai meno “pedagogico” di quanto accadesse con Peppa Pig. L’ambientazione è squisitamente americana e il fine ultimo di Gumball appare chiaramente quello di persuadere, di intrattenere, a tratti persino di blandire, senza rinunciare però a delle incrinature che oltrepassano la zona comfort degli ammiccamenti cartooneschi già sperimentata anche nel passato recente.

Ancora una volta, e qui gli autori sembrano inevitabilmente degli epigoni di molti altri predecessori, la famiglia presenta la classica composizione “a la Simpson”, con un padre obeso e di scarso comprendonio, coniglio rosa, una madre gatta blu come il suoi primogenito, intelligente e tuttofare così come la sorella minore, una quattrenne dal linguaggio incredibilmente ricco, il protagonista e un fratello-amico che impersona letteralmente e forse simbolicamente il classico pesce fuor d’acqua. Speci (emblema di razze?) e abilità per lo più intellettive si incrociano nella definizione dei personaggi principali: il contraltare dell’umorale protagonista, a tratti bilanciato dal fratello adottivo, ma ancor più del padre iperferino, coniglio rosa incredibilmente goffo ed inerme, sono infatti una madre multitasking che, a differenza di molte madri da sit-com, lavora, e una sorella troppo giovane per essere ciò che è. Lo slittamento in uno scenario grottesco, in cui tutto è baldanzosamente “iper”, potrebbe allora configurarsi come una parodia di certa narrazione satirica, pur essendo questa visibile in prodotti ben più adulti ed adultizzati. Senza l’esplicito riferimento a politica e società statunitense Gumball diventa allora molto più fruibile degli show da cui trae ispirazione, e libera la propria creatività nell’assembramento di personaggi fantasiosi e a volte poco rassicuranti, come nel caso del ragazzo senza mento, caratterizzato da un’enorme bocca fotografica e orrorifica, o come nel caso della ragazza dinosauro priva di parola, spesso monodimensionali e dal carattere primitivo, in fondo bonario e contrastante con l’aspetto esteriore. Nuvolette variopinte e bucce di banana animate, studenti letteralmente edibili ma immortali: tutto il carnevale di Gumball si attiva per dar vita a semplici e colorate avventure, nelle quali sembra però strisciare costantemente un senso di disagio, percepibile forse più da spettatori abbastanza maturi, mentre i piccoli si perdono gioiosamente nel non sense. Gli scenari-sfondo immobili distorcono ancor di più la ricerca di un’impossibile profondità di campo, alludendo probabilmente alla presenza di un mega contenitore di cui si disseminano indizi con il proseguire della serie; a questo punto nella semplicità delle storie si inseriscono elementi perturbanti e originali e persino le personalità dei protagonisti sembrano evolvere, pur restando confinate nell’archetipo della non crescita e del non-tempo.

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Lost in Oz

ITOLO ORIGINALE: Lost in Oz
ANNO: 2017
STAGIONI: Stagioni 1-2 (26 episodi)
DATA USCITA: 01/10/2017
DURATA: 24‘

(Scheda tratta dal sito Movie for Kids)

 

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Lost in Oz esplora nuove frontiere dell’ animazione seriale: ancora una volta utilizza una protagonista femminile nei tratti spigolosi nella dedizione alla essenzializzazione grafica che punta a incidere lo schermo ma anche a far trapelare un non più inedito dinamismo visivo ed interiore. La nuova storia di Dorothy è un’avventura dalla discendenza matrilineare, elemento silente ma pervicace nella prima stagione, capace di ispirare la protagonista e la sua attitudine al viaggio. Ritornano i temi del libro originale (in realtà una serie di 14 libri scritti da Frank Baum a partire dal 1900) e dei numerosi adattamenti da esso tratti, in primis il celebre musical in technicolor di Victor Fleming del 1939. Non resta sullo sfondo  infatti la tensione alla scoperta di sé, tipica dell’adolescenza o della preadolescenza ma il mondo altro si trova ad affrontare e certamente meno semplice è meno netto. Dalla cupezza dissimulata e dalla simbolizzazione nota anche agli spettatori moderni,incarnata dai quattro personaggi chiave della ragazza, del leone, dell’uomo di latta e dello spaventapasseri ci si immerge in un universo ipercromatico, strabordante e confuso. Personaggi e abitazioni incorporano il fantasy post moderno, fatto di effetti metallizzati che  fanno rivivere una’inedita Città di Smeraldo attraversata futuristici  dallo sviluppo sempre più verticale che vede la germinazione caotica di ambienti e vissuti.

Anche nel mondo creato dai cartoonist statunitensi per Amazon Video si innesta la quest della protagonista, affiancata dal mite mastichino dall’enorme testa Ojo e dalla streghetta ribelle West, il cui look è una rilettura interessante degli stereotipi “riot” e la cui personalità estremizza le pulsioni della riflessiva Dorothy, costretta a destreggiarsi tra insicurezze e impulsività in una caratterizzazione che si sforza di abbandonare la bidimensionalità. Poco rassicuranti, ma ancora ben riconoscibili grazie alla loro fisicità imponente e aliena, sono i Nomes, accaniti antagonisti che minacciano la Città di Smeraldo e il conseguente ritorno di Dorothy a casa.

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Con l’arrivo della seconda stagione gli ideatori fuggono però da una facile ricongiunzione finale, creando i presupposti per una sorta di cliffhanger e per un’ideale continuità tra due o più stagioni (la terza è prevista per l’autunno 2019), pur rispettando le regole della serialità che impongono una rotazione di personaggi, ambienti e tematiche, non ultima la commistione tra mondo reale e mondo della magia: è la prima “crepa” nella scissione binaria della narrazione.

Età consigliata: dai 5 anni.

 

 

 

 

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Peppa pig: il maiale è il miglior amico dell’uomo

Premessa

Chi scrive ha compiuto (all’epoca dei molti film, in fondo una breve parentesi) studi infausti e sconsiderati che spingevano chi vi si sottoponeva ad un relativismo esasperato, volto a recuperare ogni aspetto del reale sotto una luce differente. Dunque la morale si costruisce (giustissimo), e la pubblicità non è più male (assurdo). Ma l’atto del vendere e i suoi corollari le erano lontani, fisicamente e psichicamente, dopo un fulminante e fulminato esordio alle scuole elementari in cui produrre testi “reclamatori”era solo un divertente esercizio. Ed è con questo spirito, impastato di credenze più o meno falsate e germi di riflessione sul tema, che ci si accosta d uno dei programmi di punta dell’odierna televisione per l’infanzia che più di ogni altro è forse assimilabile alla nozione di “prodotto”

Peppa Pig e la fattoria degli animali 

Nel 2004 va in onda nel Regno Unito la prima stagione di Peppa Pig, serie animata rivolta a bambini in età pre-scolare (oppure, ancor meglio, alla fascia 0-3 anni) ideata da Neville Astley e Mark Baker. Le mini-storie, della durata di 5 minuti l’una, si presentano come istantanee animate di una semplicità disarmante, con i disegni ipersemplificati che separano personaggi e oggetti mobili dal fondale con una linea di pennarello spessa, grossolana. L’impressione espressa prontamente dall’adulto osservante potrebbe essere unanime:sciatteria, pochezza di idee, iterazione ossessiva e disumanizzante (nei più estremi dei casi). Ad uno sguardo più attento potremmo scoprire che è così e allo stesso tempo non lo è. Come già osservato altrove, l’iconica evidenza delle forme e dei colori proposti ha  certamente un impatto stordente sul piccolo spettatore ma possiede anche un piano preciso, uno scopo commerciale ed estetico mirato che non si identifica facilmente con l’accusa di poca accortezza. Tra gli altri, l’animatore James O’ Shea e il disegnatore di sfondi Glenn Whiting, impegnato in diverse produzioni Disney (e quindi con un’idea di “fondale” in origine molto diversa da quella mostrata nella sua ultima fatica), danno vita ad una continua ed efficace interazione tra paesaggi immobili e quasi del tutto spogli e protagonisti dalle movenze a scatto, privi di tridimensionalità e quasi imprigionati in un perenne campo/contro-campo.

Sopra: la famiglia Pig intenta a saltare nelle pozzanghere di fango

Curiosamente, le teste degli animali disegnati somigliano ad una sorta di evoluzione in movimento del geroglifico, mentre si muovono incessantemente da destra a sinistra mostrando il loro volto girano a tre quarti, privi di un vero profilo, di un retro, di un piano frontale. Esigua è anche la variazione di “campi” utilizzati, come se un ipotetico zoom non volesse mai avvicinarsi troppo ai volti abbozzati dei personaggi per non rivelarne eventuali imperfezioni. Al contrario, i semplicissimi/semplicisti maiali raggruppati in famiglia da quattro elementi ostentano, nella loro “grana grossa”, una perfezione totemica, intoccabile. Il quartetto offre già una prima visione stereotipica  ed empatica con un pubblico composito, proponendo dialoghi, battibecchi e situazioni più o meno problematiche improntate alla verosimiglianza di vicende umane. Oltre ai genitori, l’uno più grosso dell’altra, abbiamo due figli piuttosto piccoli. La femmina, Peppa, è una bimba-maialina trainante, estroversa, in eterno conflitto e sospesa tra odio e amore per il piccolo George.