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Dischi: Ci vuole un fiore – Sergio Endrigo, 1974

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Risale a qualche tempo fa l’affermazione di Claudia Endrigo, figlia di Sergio, che  rivendicava il valore della musica di suo padre avulsa da un contesto prettamente infantile. È indubbio, infatti, che il cantautore istriano nato a Pola del 1933 sia conosciuto da molti contemporanei soprattutto per alcuni brani legati al mondo dell’infanzia. L’esempio più lampante sembra essere il brano Ci vuole un fiore, leit motiv incessante e persino abusato di generazioni di bambini dai primi anni ’70 ad oggi. Composta insieme a Gianni Rodari, autore del testo, la canzone è cadenzata da un ritmo marciante e ripetitivo, influenzato dall’arrangiamento di Luis Bacalov, e all’apparenza suona come una semplice e banale filastrocca che però nasconde ben altro. La cura della parte musicale è accompagnata da scelte mirate nei versi, che riprendendo se stessi si arricchiscono di immagini e significati, in quello che ad un ascolto più attento sembra essere un inno alla scoperta del mondo per il bambino che ascolta. Oltrepassate quelle fasi stizzose sella fanciullezza e dell’adolescenza ascoltare quel brano potrebbe rivelarsi profondamente diverso, soprattutto se preludio ad una riscoperta più consapevole ed esaustiva dell’opera di Sergio Endrigo dedicata all’infanzia.

Ci vuole un fiore appartiene ad un album che oggi potremmo definire come “concept”, realizzato nel 1974 con la collaborazione di Gianni Rodari,autore di tutti i testi, e Luis Bacalov. E’ l’ultimo disco dell’autore regalato all’universo dei più piccoli, e forse proprio per questo il più importante nella poetica e nella visione dell’età in formazione. A giochi sonori impreziositi dal coro di bambini sui mutamenti della forma canzone in Zucca Pelata si alternano veri e propri trattati educativi liberi e dirompenti, introdotti talvolta da una giovane voce narrante che fa da contrappunto alle liriche cantate dall’adulto a voce piena, venata variabilmente da una forte traccia malinconica a screziarla: Ho visto un prato racconta la bellezza e i colori di una natura negata ai ragazzi di città, mentre il “tema” tradizionalmente impartito nell’introduzione letta mirava ad una conoscenza sterile e acritica delle stagioni dell’anno.

Il coro infantile sembra fare eco a nuove idee nascenti come la partecipazione del discente all’esperienza educativa,  nate dalla contestazione giovanile e da nuove teorie pedagogiche di fine anni ’60. Ed è così che anche il parlato “liberamente tratto” da un’immaginaria e pedissequa lezione di grammatica offre lo spunto per parlare con pienezza de Le parole, ma emergono tracce di una pedagogia alternativa e partecipata anche in Mi ha fatto la mia mamma, dove si “scomoda”, velatamente, il sempiterno tema dell’origine della vita dileggiando le vulgate ancora in uso per spiegare ai bambini (la foglia di cavolo e la cicogna in primis). Si rilegge l’educazione acritica e nozionistica della storia (Napoleone) e della geografia (Un signore di Scandicci, che però parla d’altro), e ci si indigna al ritmo del beat sincopato del povero Bambino di gesso, vessato e plasmato a misura di adulto-marionetta.

Infine è eterea e animata, vividamente ispirata ad atmosfere barocche,  la conclusiva Non piangere, un brano per parlare, ascoltare e abbracciare anche metaforicamente i propri figli, in cui quel “non piangere mai più”, pur nell’inattuabilità del monito, suona come un invito alla forza, alla costruzione di un’indipendenza atta ad accogliere la bellezza del mondo e le sue sfumature.

scheda del disco:

Titolo: Ci vuole un fiore

Artista: Sergio Endrigo

Anno: 1974

Paese: Italia

Casa di produzione: Ricordi

Tracce

Lato A
  1. Ci vuole un fiore – 3:37 (testo: Gianni Rodari – musica: Luis Enriquez Bacalov, Sergio Endrigo; edizioni musicali Jubal, Noah’s Ark)
  2. Un signore di Scandicci – 2:55 (testo: Gianni Rodari – musica: Luis Enriquez Bacalov, Sergio Endrigo; edizioni musicali Jubal, Noah’s Ark)
  3. Napoleone – 4:05 (testo: Gianni Rodari – musica: Luis Enriquez Bacalov, Sergio Endrigo; edizioni musicali Jubal, Noah’s Ark)
  4. Zucca pelata – 2:35 (testo: Gianni Rodari – musica: Luis Enriquez Bacalov, Sergio Endrigo; edizioni musicali Jubal, Noah’s Ark)
Lato B
  1. Mi ha fatto la mia mamma – 2:38 (testo: Gianni Rodari – musica: Luis Enriquez Bacalov, Sergio Endrigo; edizioni musicali Jubal, Noah’s Ark)
  2. Ho visto un prato – 2:45 (testo: Gianni Rodari – musica: Luis Enriquez Bacalov, Sergio Endrigo; edizioni musicali Jubal, Noah’s Ark)
  3. Le parole – 2:35 (testo: Gianni Rodari – musica: Luis Enriquez Bacalov, Sergio Endrigo; edizioni musicali Jubal, Noah’s Ark)
  4. Il bambino di gesso – 2:00 (testo: Gianni Rodari – musica: Luis Enriquez Bacalov, Sergio Endrigo; edizioni musicali Jubal, Noah’s Ark)
  5. Non piangere – 3:00 (testo: Gianni Rodari – musica: Luis Enriquez Bacalov, Sergio Endrigo; edizioni musicali Jubal, Noah’s Ark)

Formazione

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Gli incredibili- Una  “normale” famiglia di supereroi

Età consigliata: dai 6 anni

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Sinossi: Bob ed Helen sono una coppia di ex-supereroi, sposati e con tre figli che già manifestano i primi superpoteri. Da 15 anni il governo ha vietato loro di utilizzare i superpoteri, visto il malcontento e le incomprensioni che le loro eroiche azioni scatenavano tra la gente. Un giorno però una misteriosa ragazza gli chiede aiuto per sconfiggere un minaccioso robot fuori controllo…

Sceneggiatura: Brad Bird
Fotografia: Andrew Jimenez , Janet Lucroy
Musiche: Michael Giacchino
Montaggio: Stephen R. Schaffer
Anno: 2004 Nazione: Stati Uniti d’America
Distribuzione: Buena Vista Durata: 115′
Genere: animazione

(Da Centraldocinema)

Il film di Brad Bird coniuga i due plastici e voluminosi protagonisti come le atmosfere,  i tratti e i colori di più generi, secondo quella che sta quasi assumendo le caratteristiche di una “scuola” dell’animazione 3d. Al di là delle manovre prevedibili da action movie tradizionale, e oltre i toni da commedia “adulta” calibrati sulle seduttive dinamiche timbrico- verbali dei personaggi, come negli aggraziati siparietti familiari conditi di battibecchi decisamente poco disneiani, o nella scena in cui il protagonista Bob e l’ex collega uomo-ghiaccio si appostano nella volante in attesa di avvistare un pericolo, come ai tempi d’oro. I loro volti sono schizoidi, ferini, holliwoodianamente umani, e nei loro corpi si inscrive la parabola del divertimento classico a caccia di un problema. Quest'”oltre” si realizza nell’illusione vertiginosa di un movimento fluido a 360 gradi, nella possibilità rocambolesca di dominare lo spazio virtuale non attraverso l’irrisorietà del disegno, ma tramite la straordinaria realtà di una sorta di macchina da presa immaginaria, che compie giri impensabili attorno e sopra i grattacieli, nel cuore degli inseguimenti nella foresta, attraverso le pareti cristalline dei campi di forza emanati dalla supereroina in erba Violetta, nelle gommose evoluzioni del corpo incorporeo di sua madre. Attorno a questa affascinante, ma ormai consueta ubriacatura visiva serpeggia un’ironia impensabilmente malinconica e destrutturante, rivolta al tramonto esplosivo dell’eroismo e dei suoi cartacei feticci-persona, che si riscattano, più che nelle nuove e mirabolanti missioni, nella fantasia di un’esistenza “normale”.