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Il mio vicino Totoro (seconda parte)

La casa e il bosco de Il mio vicino Totoro rappresentano un residuo territoriale che abbraccia presente e passato,modernità scolastica e lavorativa e tradizione. Tra le ante scorrevoli, il legno e il vetro della casa giapponese, e sotto i futon distesi, la famigliola incompleta vive una vicinanza innocente e rinvigorente, atta a far dimenticare la lontananza che il lavoro impone al giovane padre e l’assenza della madre, relegata per gran parte del film nei discorsi e nei toni ansiosi delle bambine, sospesa in un limbo speranzoso ma venato di tragicità. La campagna e il biancore della casa aprono fasci di luce sull’esistenza delle ragazzine, che affrontano la novità spiacevole con il trasporto e la capacità di rigenerarsi. Eppure i “mangia fuliggine”, come divinità intoccabili e rese geometriche nel loro imperturbabile, spaventoso avanzare, si annidano nei pensieri della bambina più piccola spingendola a risolvere il mistero del bosco e della campagna. Le anziane del villaggio, tratteggiate con la consueta grazia rilassata ed espansa, forniscono una temporanea spiegazione alle paure di Mei: i “mostri”, visibili solo da occhi innocenti, spariranno o fuggiranno quando le bambine di città si approprieranno dei nuovi ambienti con fiducia.

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Oltre il verde, oltre le risaie, Mei inventa un mondo fantastico che potrebbe essere vero. Custode dei “mangia fuliggine” è una creatura gigantesca, morbida come un enorme cuscino e imponente come una montagna, rassicurante e fornito di tratti dolci e tipicamente kawai ma allo stesso tempo misterioso, inquietante nelle movenze e nella forza dimostrata. L’albero, raggiungibile attraverso il tunnel, è la sua casa e il suo tempio, e il soffio di vita del suo risveglio è come vento, capace di innalzare la bambina al di là delle proprie vette immaginative. Totoro e i suoi seguaci, che ne ricalcano le forme stilizzate, accompagnano Mei nel bosco ma le forniscono la chiave per tornare a casa, oltre a regalare a lei e  a sua sorella Satsuki l’illusione pittorica di un rigoglio di piante che prende forma di notte, per magia, e che al mattino appare fortemente ridimensionato ma più tangibile ed emozionante, spogliato dal sogno.

Quando Mei si perde nella sua seconda fuga i colori del tramonto si tingono di un inusuale lirismo drammatico, di una luce rossastra violenta che scuote le sembianze veriste del bosco, mentre affiorano elementi disturbanti (la scarpetta pescata dal fiume) a squarciare la serenità bucolica con un tratto vivido, esplorato altrove dai cineasti dello studio (Totoro è contemporaneo di Una tomba per le lucciole). Il ritrovamento, toccante, della bambina, è affidato ad un ulteriore elemento magico. Totoro chiama per Satsuki il Nekobus, enorme gatto autobus dalla luminosità abbagliante e dal sorriso ferino e capace di volare correndo con le sue sei zampe possenti. Traspare ancora una volta la necessità di perdersi e ritrovarsi in un mondo misterico, questa volta esplorato attraverso gli occhi vigili e curiosi di una preadolescente molto simile ad altre protagoniste Miyazakiane, ricorrendo a figure zoomorfe di origine spirituale reinterpretate dalla fantasia infantile e della prima fanciullezza; figure da osservare e da toccare con prudenza, per superarne l’impatto sferzante e spaventoso e ricominciare a vivere nella realtà. Le figure adulte, volenterose e amorevoli ma frettolose, distanti, sono solo in parte iniziate a questa seconda natura, che si apprestano a contemplare attraverso i racconti filiali senza invaderla. Accade al padre, energico e affettuoso, e alla madre, la cui malattia è un ulteriore oggetto di mistero e contemplazione per la natura attiva delle sue figlie.
Le immagini finali riprendono gli elementi stilistici della sigla, in cui il gusto ed il cantato occidentale si fondono ad elementi musicali orientali e le creature – totem racchiudono una ritrovata unità familiare, contraltare moderno e solo apaprentemente opposto al percorso disperato narrato in Una tomba per le lucciole.

P.S. In uno dei cortometraggi proiettati all’interno del Cinema Saturno, sala del Museo Ghibli a Mitaka (Tokyo), il mondo di Totoro viene rielaborato senza troppi guizzi d’immaginazione, ma in modo concentrato e piacevole: nella breve trama Mei fugge nuovamente verso il suo magico mondo con l’aiuto di un minuscolo Nekobus, trainato dal vento, fino ad arrivare, tremando ancora un po’ (la sorpresa resta anche di fronte a creature conosciute, se queste si dispongono in modo inusuale), in un mondo sovraffollato di Totori e Nekobus trasportati da una creatura dalle dimensioni terrificanti e dal respiro ancor più spaventoso e profondo: è un gatto-dirigibile, vecchissimo e apparentemente ripescato tra i flutti di un mondo primordiale, ma comunque capace di apprezzare gli zuccheri “terreni” di una caramella offerta dalla piccola Mei.

Scheda:

Titolo originale となりのトトロ
Tonari no Totoro
Lingua originale giapponese
Paese di produzione Giappone
Anno 1988
Durata 86 min
Colore colore
Audio sonoro
Rapporto 1.85:1
Genere animazione, fantastico
Regia Hayao Miyazaki
Soggetto Hayao Miyazaki, Kubo Tsugiko
Sceneggiatura Hayao Miyazaki
Casa di produzione Studio Ghibli
Distribuzione(Italia) Lucky Red
Character design Hayao Miyazaki
Animatori Yoshiharu Sato
Montaggio Takeshi Seyama
Effetti speciali Kaoru Tanifuji
Musiche Joe Hisaishi
Scenografia Kazuo Oga