Premessa
Chi scrive ha compiuto (all’epoca dei molti film, in fondo una breve parentesi) studi infausti e sconsiderati che spingevano chi vi si sottoponeva ad un relativismo esasperato, volto a recuperare ogni aspetto del reale sotto una luce differente. Dunque la morale si costruisce (giustissimo), e la pubblicità non è più male (assurdo). Ma l’atto del vendere e i suoi corollari le erano lontani, fisicamente e psichicamente, dopo un fulminante e fulminato esordio alle scuole elementari in cui produrre testi “reclamatori”era solo un divertente esercizio. Ed è con questo spirito, impastato di credenze più o meno falsate e germi di riflessione sul tema, che ci si accosta d uno dei programmi di punta dell’odierna televisione per l’infanzia che più di ogni altro è forse assimilabile alla nozione di “prodotto”
Peppa Pig e la fattoria degli animali
Nel 2004 va in onda nel Regno Unito la prima stagione di Peppa Pig, serie animata rivolta a bambini in età pre-scolare (oppure, ancor meglio, alla fascia 0-3 anni) ideata da Neville Astley e Mark Baker. Le mini-storie, della durata di 5 minuti l’una, si presentano come istantanee animate di una semplicità disarmante, con i disegni ipersemplificati che separano personaggi e oggetti mobili dal fondale con una linea di pennarello spessa, grossolana. L’impressione espressa prontamente dall’adulto osservante potrebbe essere unanime:sciatteria, pochezza di idee, iterazione ossessiva e disumanizzante (nei più estremi dei casi). Ad uno sguardo più attento potremmo scoprire che è così e allo stesso tempo non lo è. Come già osservato altrove, l’iconica evidenza delle forme e dei colori proposti ha certamente un impatto stordente sul piccolo spettatore ma possiede anche un piano preciso, uno scopo commerciale ed estetico mirato che non si identifica facilmente con l’accusa di poca accortezza. Tra gli altri, l’animatore James O’ Shea e il disegnatore di sfondi Glenn Whiting, impegnato in diverse produzioni Disney (e quindi con un’idea di “fondale” in origine molto diversa da quella mostrata nella sua ultima fatica), danno vita ad una continua ed efficace interazione tra paesaggi immobili e quasi del tutto spogli e protagonisti dalle movenze a scatto, privi di tridimensionalità e quasi imprigionati in un perenne campo/contro-campo.
Sopra: la famiglia Pig intenta a saltare nelle pozzanghere di fango
Curiosamente, le teste degli animali disegnati somigliano ad una sorta di evoluzione in movimento del geroglifico, mentre si muovono incessantemente da destra a sinistra mostrando il loro volto girano a tre quarti, privi di un vero profilo, di un retro, di un piano frontale. Esigua è anche la variazione di “campi” utilizzati, come se un ipotetico zoom non volesse mai avvicinarsi troppo ai volti abbozzati dei personaggi per non rivelarne eventuali imperfezioni. Al contrario, i semplicissimi/semplicisti maiali raggruppati in famiglia da quattro elementi ostentano, nella loro “grana grossa”, una perfezione totemica, intoccabile. Il quartetto offre già una prima visione stereotipica ed empatica con un pubblico composito, proponendo dialoghi, battibecchi e situazioni più o meno problematiche improntate alla verosimiglianza di vicende umane. Oltre ai genitori, l’uno più grosso dell’altra, abbiamo due figli piuttosto piccoli. La femmina, Peppa, è una bimba-maialina trainante, estroversa, in eterno conflitto e sospesa tra odio e amore per il piccolo George.